*Direttore Centro Studi Fleet&Mobility
Il Covid ha letteralmente fermato, da un giorno all’altro e per alcuni mesi, tutte le attività. Non solo quelle di vendita dei prodotti, ma pure quelle legate all’assistenza e alla manutenzione ordinaria e all’uso stesso delle macchine. Diverse settimane di apnea economica e finanziaria, a cui era seguito il rimbalzo che sempre accompagna i periodi di contrazione forzata, più o meno aiutato dagli incentivi.
Ci si aspettava che sarebbe durato, come nelle altre attività economiche, almeno quelle non legate a viaggi e assembramenti. In effetti, la domanda di auto ci sarebbe anche. “Se avessimo avuto il prodotto, avremmo chiuso sopra 1,8 milioni di targhe”, rivelano gli addetti ai lavori della distribuzione. Solo che non dipende più dalla domanda: adesso è un mercato dell’offerta, come si dice in economia.
Dopo il Covid e a seguito del Covid, c’è stata la stretta sulle forniture dei microchip, che ha prima fermato e poi impostato su ritmi lenti la produzione, che non ha potuto cavalcare la molla di chi forzatamente non aveva acquistato in pandemia.
Non solo, non riesce a tenere il passo delle richieste dei clienti, tanto da far riflettere seriamente sull’opportunità degli incentivi. Che senso ha, si chiedono tanti, dare soldi a un mercato dove ci sono più clienti disposti a comprare di quanti prodotti l’offerta possa rendere disponibili? Alla fine, l’incentivo si traduce in un regalo a chi avrebbe comprato lo stesso.
Non è chiaro quando la catena di fornitura dei processori tornerà in equilibrio, né se nel frattempo non spiegherà i suoi effetti la mancanza di altre materie prime, a cominciare dall’alluminio per finire all’energia, che stanno interessando molti comparti industriali. Molti prevedono un mercato auto lontano dai volumi a cui eravamo abituati solo due anni fa, in Italia come in Europa e non solo. Questo porta direttamente al grande regolatore della domanda e dell’offerta: il prezzo.
In base all’analisi del mercato a valore del Centro Studi Fleet&Mobility, nel 2018 le auto immatricolate in Italia avevano un prezzo medio di 20.568 euro, salito a 20.958 l‘anno successivo e a 22.414 nel 2020. In attesa delle elaborazioni ufficiali, le prime stime sul 2021 indicano un prezzo sui 24.000 euro.
Da tempo il prezzo era in aumento, principalmente perché le scelte degli automobilisti sempre di più privilegiavano i SUV e i modelli accessoriati, ma con un passo meno marcato. L’impennata dello scorso anno e di questo è invece frutto dello spostamento del mix verso modelli elettrificati e più costosi per una parte, ma pure e in larga misura della congiuntura.
La mancanza di prodotto ha ridotto gli sconti, mentre i mancati acquisti degli operatori del noleggio a breve, con molte vetture utilitarie e sconti altissimi, hanno spostato il mix verso l’alto.
L’orientamento però è quello di consolidare anche per i prossimi anni l’offerta su queste posizioni, con scarsa pressione sui prezzi e focus sui margini. Questa politica, oltre a portare più clienti verso l’usato, libererebbe uno spazio nella parte bassa del mercato, la prima fascia di prezzo.
L’Aniasa, l’associazione dei noleggiatori, ha già dichiarato apertis verbis che, se non dovessero ricevere adeguate forniture per l’inizio della stagione 2022, prenderebbe in considerazione il prodotto cinese.
C’è ovviamente un impatto sui volumi. Nei due anni pre-Covid il mercato aveva chiuso poco sopra 1,9 milioni di immatricolazioni, grazie alle solite forzature e ad un ampio ricorso ai km0. Il crollo dello scorso anno aveva sfiorato 1,4 milioni e anche il 2021 non arriva al milione e mezzo. Colpa della congiuntura legata alla pandemia, certamente, ma anche dell’attenzione dei costruttori a favorire la produzione e la vendita di quelle vetture a basso impatto ambientale, le low emission vehicle, per evitare o contenere le multe che la Commissione Europea infligge al superamento dei limiti.
Senza forzature di alcun tipo, gli italiani acquisterebbero verosimilmente circa 1,7 milioni di auto, ma alla luce dei fattori in gioco appare realistico prevedere un 2022 tra 1,5 e 1,6.
Discorso diverso per l’usato, che prima del Covid contava 3,1 milioni di transazioni, crollate sotto i 2,7 nel 2020 e subito risalite sopra i 3 milioni quest’anno.
Se generalmente le due curve, nuovo e usato, viaggiano insieme seppur non sempre in parallelo, adesso che le immatricolazioni sono determinate dall’offerta più che dalla domanda, è presumibile che una parte di questa si riversi sul prodotto di seconda mano, magari non vecchio né ricco di chilometri. Come del resto è già accaduto in questi mesi.