Il turismo a pedali continua a crescere. Il viaggio in bici, dopo il boom post pandemico, continua ad attirare sempre nuovi appassionati tanto che secondo lo studio “Ecosistema della bicicletta edizione 2023” redatto da Banca Ifis le due ruote sono state utilizzate da 6,3 milioni di persone nel corso delle loro vacanze con un impatto economico di tutto rispetto, pari a 7,4 miliardi di euro.
A ben guardare quello di Banca Ifis è solo l’ultima ricerca in ordine di tempo a mettere nero su bianco la crescente passione per questa particolare tipologia di vacanza.
Secondo il Rapporto “Viaggiare con la bici 2023”, realizzato da Isnart per l’Osservatorio sull’Economia del Turismo delle Camere di Commercio promosso con Legambiente, accanto ai cicloturisti puri – ossia italiani e stranieri che scelgono il Bel Paese appositamente per un viaggio sui pedali – è necessario considerare anche coloro i quali nel corso della loro vacanza usano, anche solo una volta, la due ruote: nel 2022 sono state quasi 24 milioni le presenze turistiche associabili a questo segmento, per una spesa sul territorio pari a circa 3 miliardi di euro.
Piero Nigrelli, direttore settore Ciclo di Ancma, l’associazione di Confindustria del ciclo e del motociclo, si dice soddisfatto di questa evoluzione e sottolinea le grandi potenzialità dell’Italia.
Che effetti ha il boom del cicloturismo sul mercato delle biciclette?
Direi molto forte, soprattutto per un particolare tipo di prodotto: la gravel. Di fatto questa bicicletta contraddistinta da alcuni elementi che ne accentuano la comodità e la versatilità d’uso (telaio più comodo, ruote più larghe e tassellate, forma del manubrio più confortevole) è la principale responsabile della crescita del comparto corsa che oggi ha raggiunto il 5/6% del totale. Un risultato importante, legato di certo al boom del cicloturismo ma anche all’attrazione esercitata nei confronti dei tanti appassionati sportivi che percorrono le ciclabili nei fine settimana. In linea generale possiamo dire che il cicloturista “puro”, colui che sceglie il nostro Paese appositamente per una vacanza in bicicletta, viaggia per il 10% proprio a bordo di gravel, per un 20/30% su bici da trekking e per circa il 60% su modelli a pedalata assistita.
I negozi specializzati, quindi, ne stanno beneficiando?
Certamente sì. Si pensi che la vendita di biciclette e della componentistica ha raggiunto valore pari a 3,2 miliardi (appena quattro anni fa erano 2): di questi il 68% è generato dagli oltre 3.800 negozi specializzati sparsi sul territorio nazionale.
Visto che il mercato tira e la produzione ne risente positivamente si stanno già evidenziando dei segnali di reshoring?
Non si vedono casi particolarmente importanti di rientro di produzione di componenti. In linea di massima esiste ancora un differenziale di prezzo enorme con i paesi del Far East. Ritengo che tale divario possa essere colmato investendo sull’automazione. Questa strategia, però, deve essere supportata anche dalle istituzioni. Esistono già degli strumenti come i Contratti di sviluppo, studiati proprio per il sostegno di programmi di questo tipo. Il problema è che la soglia di accesso, fissata a venti milioni, è troppo alta per gran parte delle aziende del settore.
Cosa pensa di una politica di incentivi ad hoc?
Abbiamo sperimentato gli incentivi all’acquisto del 2008 e nel 2020 con grande successo. Tuttavia, riteniamo superati tale tipo di strumenti. Pensiamo facciano bene in un primo momento e servano di certo a svuotare i magazzini dalle giacenze ma poi, a lungo andare, hanno un chiaro effetto distorsivo del mercato. Meglio agire sull’Iva. Del resto, esiste già una risoluzione europea che ne consente il taglio. Al momento è stata attuata dal Portogallo che ha portato l’imposta sulle bici al 6% e dal Lussemburgo che l’ha ridotta fino all’8%. Noi di Ancma abbiamo chiesto al governo un provvedimento simile mettendo in evidenza che la decisione si tradurrebbe in un vantaggio di non poco conto per la nostra industria, soprattutto se saremo in grado di muoverci prima di altri grandi Paesi dell’Unione. Con un Iva al 10% ritengo che sarebbero molti i concittadini europei che acquisterebbero le loro bici nel nostro Paese.
Il credito al consumo è solo agli inizi nel mercato delle biciclette: è cambiato qualcosa negli ultimi mesi?
Al momento non molto ma questa è una sfida che ci ripromettiamo di affrontare e di vincere. Non a caso abbiamo deciso di creare un Gruppo di servizi all’interno di Ancma con le aziende di credito al consumo con le quali vogliamo perseguire l’obiettivo di fare squadra. Riteniamo opportuno rendere maggiormente consapevoli i rivenditori nei confronti della “difesa del margine” che è poi l’aspetto che consente davvero di guadagnare, piuttosto che essere focalizzati sul fatturato. Sono convinto che pian piano riusciremo a far capire che il credito al consumo può rappresentare una forte leva per la crescita del settore.
Tornando al cicloturismo esiste una strategia italiana a livello nazionale?
Esiste ed è contenuta nel Piano generale della mobilità ciclistica urbana ed extraurbana approvato dall’ex ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini, nel 2022. Sono a disposizione qualcosa come 1,25 miliardi di euro per costruire o completare progetti di ciclovia e alla fine del 2022 sono stati anche approvati i decreti attuativi. Si pensi al prolungamento della Brennero-Verona fino a Firenze. Oppure ancora alla Venezia-Torino, all’anello del Garda, alla Bergamo-Brescia. Anche al Centro e al Sud sono tante le infrastrutture realizzate, da progettare o da potenziare. Mi riferisco alla splendida Ciclovia dell’acquedotto pugliese che si snoda per più di 500 km fra Puglia, Basilicata e Campania o alla Ciclovia dei Parchi in Calabria. Ma ancora come non far riferimento al progetto del Grab, il Grande raccordo anulare in bici, un anello ciclabile di 44 km attorno a Roma che attraversa 250 siti archeologici. Certo sarebbe necessaria una regia al Ministero del turismo perché è fondamentale mettere a sistema tutti i progetti e le ciclovie esistenti.
Cosa pensa delle voci su una prossima riforma del codice della strada?
Sposo la tesi che non si possa scaricare la responsabilità degli effetti di un incidente sulle vittime. Ritengo che imporre l’uso del casco, di una targa, di un’assicurazione e degli indicatori di direzione avrebbe come affetto soltanto quello di eliminare una categoria di veicoli dalle nostre strade. Il problema è che stiamo andando verso una mobilità sostenibile che mal si concilia con questo approccio. Basta dare un’occhiata a quel che succede in Paesi nordeuropei per comprendere che la sfida ad una riduzione di vittime, inquinamento e aumento di mobilità delle persone, è stata vinta o è in procinto di esserlo, diminuendo le possibilità di utilizzo della pubblica via alle automobili private, aumentando l’offerta del TPL e la possibilità di usare, bici, scooter elettrici e pedonalità.