data
Credit: GettyImages

Data monetization: una questione di pie expansion

Il mondo del retail deve capire come ricavare valore dall'uso appropriato dei dati, che non può ridursi a una logica di buy and sell come spiega Sandro Castaldo, docente di Marketing all'Università Bocconi

Il mondo del retail ha capito davvero quanto valore può ricavare da un uso appropriato dei dati su clienti e partner? La risposta è no. O meglio, non nel modo giusto.

Il tema è tra i più rilevanti sul tavolo dei retailer. Soprattutto di quelli italiani, che su questo fronte hanno ancora molti passi avanti da fare. 
Come indica la società di consulenza McKinsey in una sua analisi, nel processo di trasformazione tecnologica in atto anche nel mondo retail, a livello globale sono in pochi a poter contare su un’offerta realmente omnicanale, su una valida ottimizzazione dei processi delle supply chain e sulla piena valorizzazione dei dati a loro disposizione, ovvero su quella che viene definita data monetization.

UN APPROCCIO CULTURALE SBAGLIATO

È un dato di fatto che le grandi catene retail siano ricchissime di dati interni relativi alle relazioni con i clienti, alle transazioni e ai comportamenti d’acquisto, sia in punto vendita che online. In più i retailer – soprattutto quelli con punti vendita fisici – possono acquisire dati esterni per comprendere meglio le caratteristiche di clienti potenziali e dunque agire nei loro confronti con offerte quanto più personalizzate. Questi dati potranno essere poi di interesse anche per altre imprese operanti magari in ambiti diversi ma su territori affini.

Questo significa che il dato debba essere valorizzato solo in una logica di scambio, buy and sell? “Assolutamente no” taglia subito corto Sandro Castaldo, docente del Dipartimento di marketing dell’Università Bocconi. “Il passo da fare è creare ulteriore valore tra venditore e fornitore”.

IL VANTAGGIO DEL RETAILER RISPETTO ALL'INDUSTRIA

Il tema assume maggiore rilevanza se si pensa che il retailer, in materia di dati, ha un vantaggio competitivo rispetto al mondo dell’industria: ha il cliente che si reca fisicamente nel suo punto vendita, raccoglie informazioni ricche e preziose di prima mano come il basket di spesa del consumatore, le visite che fa sul sito, le informazioni che ricerca più e più volte. “Questi sono tutti criteri di vantaggio rispetto al mondo dell’industria, che per procurarsi i dati deve agire in modo più complesso e articolato” aggiunge Castaldo.

“Peccato che i dati non vengano adeguatamente sfruttati né dai retailer stessi né dalle aziende che sono a monte. E i motivi sono due: il primo è un approccio culturale del retailer ancora troppo orientato al buying, ovvero all’acquisto ottimale del prodotto da rivendere, che finisce per concentrare l’attenzione sul prezzo più basso sinonimo di proposta migliore e maggiore competitività. Il secondo è la conseguente mancata capacità di trarre valore dai dati”. 

LA CONDIVISIONE PORTA ALLA MONETIZZAZIONE DEL DATO

La differenza fondamentale sta nell’approccio buy and sell o pie expansion (ampliamento della torta). 
“Fino a quando si intendono i dati solo come un bene da trattare secondo una logica transazionale (scambiarsi informazioni di interesse), ci si arena su una logica di prezzi che non porta valore” spiega Castaldo. “Per acquisire vantaggi competitivi maggiori è necessario attuare politiche di pie expansion: ottenere valore dai dati e, in una logica win-win, restituirne ai fornitori creando valore insieme con i dati che si hanno in possesso. Deve essere questa la capacità da sviluppare, come mostra il modello inglese in cui i dati vengono adeguatamente condivisi tra venditore e fornitore industriale in un’ottica di partnership. È la condivisione a creare la monetizzazione del dato”.

È dunque virtuoso quel modello in cui il dato viene monetizzato in due fasi: per migliorare la propria offerta e nella condivisione con i partner per un vantaggio reciproco.

In Italia ci sono settori avvantaggiati in questo percorso dato che, per loro natura, posseggono quantità maggiori di dati come l’elettronica di consumo, l’editoria (libri) e la gdo. Gli altri dovranno faticare forse un po’ di più per creare valore da un processo che è indubbiamente di lungo termine e più complesso rispetto ad altri e in cui bisogna usare KPI diversi molto legati al mondo dell’online, come il numero dei clienti, dei contatti, la capacità di conversione.

Ma la strada è segnata, inarrestabile e inevitabile.

RESTA AGGIORNATO SU
TUTTE LE NOVITÀ DI
AGOS PARTNER

linkedin logo