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E-commerce: gli investimenti dei big retail e delle pmi in Italia

L'Osservatorio del PoliMi indica il 2% del fatturato nel 2020. Un dato che va letto alla luce anche del calo dei ricavi dovuto alla crisi economica post Covid-19

Gli ultimi dati che fanno capire il grande salto in avanti del nostro Paese in tema di e-commerce li ha appena comunicati l’ufficio studi di Mediobanca e riguardano la gdo: alla fine del biennio 2020-2021 l’intero settore delle vendite sui canali digitali per la grande distribuzione sarà cresciuto del 3,3% portando l’e-commerce a occupare il 3% del valore del mercato e anticipando di due anni le previsioni pre-pandemia.

Questo dato la dice abbastanza lunga su come siano cambiate in modo più radicale le abitudini di spesa degli italiani. Certo, il settore della gdo è particolarmente rappresentativo di questa tendenza ma lo scenario non cambia se si guarda al retail, sia nel caso dei grandi player sia delle piccole e medie imprese e della loro rete di distribuzione.

In questo caso ci viene in soccorso l’ultimo Osservatorio Innovazione Digitale nel Retail promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano che ha condotto un’indagine sui primi 300 retailer per fatturato presenti in Italia e su 312 pmi.

Per tutti il digitale è ovviamente diventato uno strumento essenziale per la sopravvivenza delle attività. Da qui l’incremento degli investimenti volti a potenziare l’e-commerce e a digitalizzare i processi fisici in negozio. Secondo l’Osservatorio, l’investimento in digitale nel retail italiano ha raggiunto in media il 2% del fatturato nel 2020 (era l’1,5% nel 2019), un dato che assume maggior peso e rilevanza se analizzato alla luce del calo del giro d’affari dell’anno scorso. Le chiusure dovute al Covid-19 hanno portato durante l’anno a una decrescita delle vendite al dettaglio totali del 12,6% rispetto al 2019.

QUALI INVESTIMENTI

Dunque questa crescita dello 0,5% degli investimenti è un dato significativo? È abbastanza per sostenere la rivoluzione in corso nel digitale? Di certo è un valore in crescita, speso prevalentemente per potenziare l’infrastruttura logistica (88% dei casi), per investimenti tecnologici (77%) e per l’assunzione di personale specializzato proprio nell’operatività dell’e-Commerce (48%).

Un top retailer su due ha inoltre supportato i clienti nella scelta e nell’acquisto dei prodotti tramite app di messaggistica e social network, il 42% ha utilizzato lo strumento della videochiamata, per offrire consulenze personalizzate e abilitare la vendita, e il 20% ha sperimentato soluzioni di vendita da remoto più sofisticate, come le piattaforme di live stream shopping.

E molte sono le innovazioni destinate alla revisione permanente di alcuni processi. Durante il 2020, per esempio, il 14% dei top retailer ha investito nel potenziamento di sistemi di self scanning e di self check-out e ha esteso lungo la rete di negozi l’utilizzo di soluzioni di pagamento innovative oltre che nella sperimentazione di negozi automatizzati, in cui lo smartphone permette al cliente di accedere, effettuare acquisti e ritirare gli ordini online in totale autonomia.

LA CRESCITA DELLE PMI

Ancora più interessante il salto in avanti compiuto dalle Pmi verso il digitale, utilizzato soprattutto per mantenere attivo il dialogo con i consumatori e la vendita. L’Osservatorio ci dice infatti che durante i mesi di lockdown il 64% delle pmi ha lanciato almeno una nuova modalità di contatto e di vendita (come app di messaggistica, telefono, email) e che i benefici riscontrati hanno spinto l’84% del campione a mantenere attive queste modalità anche con la riapertura dei negozi.

Ma le pmi hanno lavorato molto anche sull’offerta di nuovi metodi di pagamento, contactless e mobile (67%) e sullo sviluppo di modelli omnicanale (42%).
“All’interno di queste aziende permangono dei vincoli di natura dimensionale” si legge in una nota del PoliMI. “Si tratta infatti di piccole imprese in cui è complesso reperire gli adeguati capitali di investimento e le giuste competenze per sviluppare progettualità innovative”.

Ma l’emergenza ha spinto a un maggior coraggio e a mettere da parte i timori, anche culturali, tipici del tessuto italiano delle piccole imprese che hanno imparato a guardare un po’ più al medio-lungo termine, almeno in termini di digitalizzazione.

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