*L’autore è direttore del Channel & Retail LAB e Professore Ordinario del Dipartimento di Marketing dell’Università Bocconi
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In questo tempo di rivoluzione commerciale, organizzativa, tecnologica e digitale che l’avvento del Covid-19 ha accelerato per tutti i settori del retail, il tema della sostenibilità legata al business è rimasto come una priorità. Basti pensare che i 209 miliardi che l’Europa ha destinato all’Italia con il Recovery fund saranno destinati a progetti che devono avere come elemento fondamentale un impatto positivo in termini proprio di sostenibilità.
Essere sostenibile, tuttavia, non significa solo pensare ad adottare una politica “green” ma significa anche essere economicamente virtuosi, inclusivi, attenti alla diversity nelle sue molteplici accezioni (in funzione del reddito, del sesso, della razza, delle disabilità) e coerenti nelle decisioni prese.
IL SIGNIFICATO DI SOSTENIBILITÀ
Oggi, più che in passato, è infatti diventato centrale il giudizio sull’impatto sociale che un’azienda porta con sé, un aspetto che in questi mesi di pandemia è esploso in modo dirompente.
Durante la prima ondata, siamo stati spettatori di aziende che costruivano motori e che si sono reinventate come produttrici di respiratori, di imprese che cucivano abiti che hanno realizzato mascherine, di brand attivi nelle maschere da sub che si sono riconvertite in produttori di caschi per l’ossigeno.
LA RICERCA DEL CHANNEL & RETAIL LAB DI SDA BOCCONI
Questo ha portato a un nuovo concetto di utilità sociale del fare impresa che abbraccia ormai tutti i settori di business. E che paga in termini di ritorno economico. A un patto però: che si eviti il greenwashing su larga scala e che si mantenga una coerenza assoluta tra messaggio fornito e realtà dei fatti.
Inutile per un brand professarsi “green” se poi i suoi punti vendita non si presentano come sostenibili.
Da una ricerca del Channel & Retail LAB per Agos Retail Trend (ART) , non sono pochi gli esempi che dimostrano che questa coerenza è sicuramente possibile e dove non lo è, è bene che venga dichiarato, in un percorso che deve portare a sviluppare prodotti sostenibili in contesti sostenibili con l’aiuto della digitalizzazione, che può sicuramente dare una mano importante nel processo di adattamento a questa nuova politica industriale e commerciale.
IL CASO IKEA
Ikea in questo senso è stata un precursore importante. All’avanguardia su tutte le sfide centrali in questo periodo (dalla prossimità alla digitalizzazione omnicanale), ha lanciato la sua ultima e più recente sfida in termini di sostenibilità a partire da Vienna dove sta realizzando il suo concept store in chiave green: fornitura della vendita di mobili veloce e semplificata per migliorare l’esperienza del cliente, proposta nel punto vendita di servizi per il cittadino (dalla terrazza al bar, dal fornaio alla farmacia), nessun parcheggio per le auto.
Il focus è chiaro: dare prova del valore del brand e del posizionamento scelto attraverso l’adozione di soluzioni organizzative innovative ma subito evidenti e, soprattutto, in linea con le nuove tendenze di consumo.
LA PROVA SU STRADA DI MINI
Ma a lavorare molto in termini di sostenibilità è anche il settore automotive, particolarmente al centro dell’attenzione per la sua alta componente inquinante, e su cui hanno influito anche gli incentivi messi in campo dai vari governi europei volti a incentivare l’acquisto di vetture elettriche o ibride.
Lo racconta, per esempio, il caso Mini che in occasione del lancio della nuova Mini Full Electric durante la Green Week di Milano, ha trasformato una grande piazza milanese in un enorme circuito per macchine elettriche dove ha messo in campo un test drive.
I clienti potevano provare su strada la vettura, una Mini 100% elettrica, per capire come potesse essere sfidante e divertente da guidare almeno al pari di un’auto tradizionale. L’obiettivo era quello di far vincere la diffidenza verso la vettura elettrica attraverso prove pratiche, e permettere anche di strutturare uno storytelling e momenti di experience del prodotto ad hoc coinvolgendo attivamente la clientela mediante delle dirette su Radio Deejay e Radio M2O e fornendo video di documentazione dell’evento e foto ricordo per i partecipanti da condividere sui social, oltre a predisporre la distribuzione di materiale informativo chiaro ed esauriente.
LA CITTÀ GREEN DI TOYOTA
Di spettro ancora più ampio e totalizzante, è il progetto di Toyota che nel 2021 consegnerà ai cittadini giapponesi, ai piedi del monte Fuji, una vera e propria città, Woven City, di oltre 700 mila mq in cui testare tutte le sue tecnologie di smart city, smart home, intelligenza artificiale, mobilità connessa e a idrogeno.
A Woven City abiteranno circa 2 mila persone, per lo più dipendenti Toyota con le loro famiglie, pensionati, negozianti e ricercatori attivi sul progetto. Vivranno in case con un’architettura ispirata a quella tradizionale giapponese, con edifici in legno dotati di tecnologie robotiche, con pannelli fotovoltaici e tecnologie all’idrogeno. In strada si vedranno solo vetture 100% autonome, a zero emissioni.
DUE RUOTE GREEN NATIVE: IL CASO ZERO MOTORCYCLE
Ci sono poi aziende automotive che nascono proprio con una vocazione esclusiva sul prodotto elettrico. Senza scomodare il colosso Tesla, è interessante raccontare il caso di Zero Motorcycles, azienda produttrice di moto elettriche nata in California per approdare poi nei mercati più conservatori e tradizionali come l’Europa, dove fino a qualche anno fa i consumatori interessati a questo mondo erano per lo più freeker tecnologici.
Zero Motorcycles ha messo al centro della sua strategia aziendale non solo il prodotto ma il contatto costante con il cliente sia nella fase di acquisto che in quella successiva, attraverso comunicazioni personalizzate. Seguire il cliente lungo tutto il suo percorso di vita con la moto scelta, consente di anticipare possibili esigenze, attivando una rapida risposta che permette di accrescere la soddisfazione della clientela, salvaguardando così la relazione di lungo periodo.