Nonostante la pandemia e la iperdigitalizzazione che ha portato con sé, non mancano i brand che, a livello globale, hanno deciso di aprire nuovi punti vendita fisici proprio nel 2021 ribadendo a gran voce che il negozio fisico non è morto. È solo cambiato.
Lo evidenzia anche un interessante approfondimento del magazine Insider Trends, in cui emerge con chiarezza come la digitalizzazione galoppante non abbia affatto cancellato il bisogno di contatto fisico tra rivenditore e cliente finale. Quello che è invece sicuro è che chi sta aprendo ora nuovi punti vendita lo sta facendo in modo completamente diverso rispetto al passato concentrandosi su tre fattori chiave:
- la creazione di valore;
- dimensioni più piccole;
- omnicanalità.
Insomma, quelli che sono cambiamenti in atto per molti retailer alle prese con il during-Covid, per altri sono invece già un dato di fatto per aggredire il mercato in base ai nuovi bisogni di consumo.
PRIMO: CREARE PIÙ VALORE
Una panoramica a livello globale aiuterà a capire meglio. Negli Stati Uniti così come in UK, i rivenditori di beni a basso costo stanno vivendo un vero boom. Ed è facile comprenderne le motivazioni: il Covid-19 ha portato una crisi economica pari solo a quella post seconda guerra mondiale. Quindi, che rivenditori come lo statunitense Five Below (prodotti con prezzo massimo di 5 dollari) o come l’inglese Poundland (massimo 1 sterlina) vogliano aprire rispettivamente 180 e 45 nuovi store entro dicembre, è facilmente comprensibile. Oltretutto, questo tipo di prodotti necessita del punto fisico perché, dati i costi bassissimi, la vendita online ribassata è praticamente impossibile.
Ma l’aspetto più interessante è che anche questi brand hanno deciso di scommettere su segmenti di clientela diversi, più “premium”, ovvero di aggiungere valore alla loro offerta. Non abbandonano il loro target ma lo espandono con l’introduzione di beni a costo più elevato per intercettare anche la clientela con un reddito più alto.
È la stessa strategia che stanno seguendo nella gdo marchi come Aldi e Lidl con l’offerta di prodotti di alta qualità a prezzi contenuti, attirando i clienti della classe media che di solito fanno acquisti in negozi di alimentari di fascia più alta. E non a caso Lidl ha comunicato l’apertura di 50 nuovi store negli Usa entro l’anno.
SECONDO: SPAZI PIÙ PICCOLI e SHOP-IN-SHOP
Se si guarda al settore dei beni durevoli, per chi apre nuovi negozi nel 2021 la parola d’ordine è “spazi piccoli”. Sono due le motivazioni principali: più punti vendita di piccole dimensioni al posto di meno punti vendita più grandi, offrono ai retailer un bacino più ampio e diversificato a cui attingere, oltre che costi ridotti. Inoltre consentono quella prossimità a cui ormai i consumatori si sono abituati nei mesi di pandemia, che ha fatto riscoprire l’importanza di essere laddove le persone vivono e lavorano e non necessariamente nei centri commerciali fuori città dove il consumatore deve arrivare forzatamente.
IKEA, per esempio, ha pianificato di aprire nel 2021 oltre 30 nuovi punti vendita nel mondo che saranno principalmente spazi di piccolo formato e in centro città. Sta seguendo la stessa strategia anche Apple con la formula dello shop-in-shop che consente di essere in luoghi strategici a costi ridotti grazie alla partnership intra-brand. Sephora ha addirittura pianificato la più grande espansione di sempre negli Usa con più di 260 nuovi negozi solo nel 2021, di cui oltre 200 di shop-in-shop nei negozi Kohl’s.
Questa esigenza di prossimità potrebbe sembrare quasi un ritorno al passato. Ma non lo è. “Si tratta invece di un salto incredibile nel futuro” spiega Sandro Castaldo Professore Ordinario del Dipartimento di Marketing dell’Università Bocconi, “perché la digitalizzazione dota questa nuova prossimità di elementi di servizio eccezionali unendo alla prossimità fisica una prossimità cognitiva ed emozionale. Il negozio piccolo non è più un negozio più vicino ma meno fornito, perché l’integrazione con l’online porta a un assortimento di gran lunga maggiore anche di quello presente nei grandi spazi finora aperti al di fuori delle città”.
TERZO: OMNICANALITÀ
È anche questo un segno tangibile dell’accelerazione digitale impressa dallo scoppio della pandemia, “una tendenza già in atto all’inizio del 2020 ma che ora è alla base delle strategie dei nuovi retailer” aggiunge Castaldo pensando soprattutto al tema dell’omnicanalità di cui tanto si parla da tempo e che è senza dubbio la terza strategia-guida delle nuove aperture.
L’integrazione tra rete fisica ed e-commerce è infatti fondamentale. Ora a crescere esponenzialmente sono i servizi omnichannel come il “click and collect” (acquisto online e ritiro in punti fisici dislocati nelle città) e il “curbside retail” (acquisto online e ritiro davanti al punto vendita) o ancora l’avvio di pratiche di fornitura di servizi completamente in digitale o che, in alternativa, prevedono solo il ritiro del bene in presenza.
Una tendenza che fa il paio con la crescita del social selling, ovvero della vendita attraverso i social media. “È un trend che tocca molto soprattutto i giovanissimi della Generazione Z. In questo caso c’è un gap culturale che è anche generazionale” aggiunge Castaldo. “In Oriente è già un fenomeno confermato. In Europa ancora no ma è un trend da tenere sotto controllo perché unisce il mondo del digital a una prossimità fisica dato che c’è sempre una persona con cui interagire. Indubbiamente, si tratta di un valore aggiunto che l’anonimato dell’interfaccia web non offre”.